giovedì 18 gennaio 2018

La matematica in Platone


Il titolo dello scritto è abbastanza impegnativo e soprattutto fuorviante, perché il contributo di Platone alle scienze della matematica è veramente molto scarso, nonostante l'antico filosofo nella fase della maturità inizierà una revisione di alcuni dialoghi in modo da renderli più assimilabili agli sviluppi aritmetico-geometrici che stava realizzando. Tuttavia, è perfettamente lecito presentare alcuni temi della filosofia platonica come premessa concettuale ad un certo sviluppo della matematica certo, ma soprattutto del pensiero razionalistico greco. L'aritmetizzazione della filosofia platonica è uno degli esempi più fulgidi di questo aspetto della cultura greca, spesso sottaciuto in favore di un modello storiografico che tende ad assimilare la cultura greca come premessa filosofica irrinunciabile del Cristianesimo trionfante in epoca tardo antica.
Platone si occupò di matematica e a suo modo inserì la disciplina entro il suo sistema filosofico, ma l'interesse da lui manifestato ha avuto solo il valore pedagogico. La matematica non è una disciplina assimilabile alla filosofia, perché è l'arte del calcolo e della misura, il che vuol dire che è un'attività che opera sul piano della realtà sensibile e che gli oggetti della sua ricerca sono enti ampiamente compromessi con le proprietà degli esseri sensibili: queste proprietà sono caratterizzate dalla mutevolezza, dalla corruzione del divenire, dall'insufficienza e via dicendo, caratteristiche che non possono comporre in alcun modo un sapere scientifico stabile ed indubitabile. Ovviamente, per capire la posizione dello antico filosofo dobbiamo smettere il nostro attuale modello culturale, che riconosce alla matematica uno statuto ed una dignità scientifica inconciliabile con le tesi platoniche. Infatti, l'idea platonica alla base di un così severo giudizio sulla matematica è quella di confrontarsi con un'attività puramente speculativa, una condizione che noi oggi realizziamo con l'autoreferenzialità formale della disciplina, ma che è assolutamente impensabile per Platone. Il discrimine decisivo che fonda il giudizio platonico è il concetto di razionalità. Per Platone la razionalità non risiede nella coerenza formale del sistema di proposizioni e di definizioni che utilizziamo (questo è chiaramente l'idea euclidea di scienza!), ma nella stessa conoscibilità dell'essenze intime dei concetti. Se viene a mancare questo, viene a mancare la possibilità stessa di avere una scienza. La preoccupazione dunque, che affiora in Platone non è quella epistemologica di definire una strategia di analisi che riesce ad accedere a spiegazioni realmente esaustive dell'essenza delle cose, ma è quella gnoseologica di poter stabilire un'insindacabile verità ultima sulle forme e sui contenuti che compongono il sapere umano.
A tal riguardo, le tecniche aritmetiche della matematica non soddisfano affatto quest'ultima esigenza, che per Platone è decisiva, infatti esse si limitano ad elaborare una serie di passaggi algebrici che permettono di operare con i numeri per soddisfare esigenze materiali e concrete, come a.e. la compravendita di manufatti o la misurazione di una superficie, ma su quali siano i reconditi motivi che spieghino la validità di tutti questi procedimenti la stessa matematica ne è all'oscuro. Ecco perché lamatematica non può esibire uno statuto scientifico, perché appunto non può spiegare il motivo per cui i numeri possano comporsi e dividersi secondo le tecniche e le regole conosciute.
Tuttavia, nella Repubblica il filosofo propone una gerarchia di discipline in cui al vertice compare ovviamente la filosofia, ma dove vi compare anche la matematica. Anzi, se osserviamo questa gerarchia la collocazione della matematica nello schema generale della conoscenza platonica suggerisce che in Platone ci sia un'alta considerazione della disciplina, sia perché si trova in posizione mediana tra la filosofia e la geometria e la musica, sia perché in riferimento alle così dette «dottrine non scritte» la disciplina raccolgie quegli enti, cioè i numeri, che svolgono una funzione di intermediazione tra gli esseri e gli enti sensibili e le verità assolute determinate dai Principi Primi. Infatti, Platone continua ad accettare la matematica come come un'attività degna di essere esercitata, perché la trova estremamente utile sul piano pedagogico e sociale. Nel VII libro della Repubblica Platone disserta sul suo modello ideale di stato ed in quel libro riconosce alle altre scienze che non sono la filosofia una dignità sociale, in quanto utili per la formazione dei cittadini di questo stato ideale. In riferimento alle teorie espresse dal filosofo negli altri dialoghi, quest'utilità è determinata dalla loro capacità di poter ridestare nell'anima tutte quelle nozioni acquiescenti che si trovano depositate nella memoria cognitiva dell'uomo. Con la teoria dell'anamnesi e della reminiscenza cognitiva Platone legittima sul piano sociale e politico una serie di attività che la sua stessa filosofia ha condannato e ricusato come opinioni. In realtà, l'utilitarismo espresso da Platone risolve a fatica la taccia di un pregiudizio, chiaramente assunto, prodotto dall'empirismo greco. L'aritmetizzazione della realtà sensibile non è stata un'idea originale di Platone, un secolo e mezzo circa prima di Platone ci avevano pensato i pitagorici, dai quali derivava anche l'assunto invalso nella nostra cultura scientifica che per avere delle verità assolute sulle forme bastava ricorrere al sapere geometrico, un sapere che è facilmente costruibile con l'uso di un compasso e di una riga. Una idea che Protagora contestava decisamente, tanto che sottolineava che le figure della geometria fossero forme inesistenti nella realtà sensibile, queste sono infatti figure che «si disegnano» e che «si cancellano». Ora, Platone attenua in parte il giudizio del grande sofista ateniese, ma in un certo senso continua a farlo proprio, tanto che ricorre a quest'idea nella nota Lettera VII per evidenziare che il sistema dei Principi Primi da lui elaborati non sono le forme della geometria, forme appunto che possono disegnarsi e cancellare.
Platone è costretto a porre questa precisazione, perché nonostante i suoi sforzi non riesce a trovare un nome ed una definizione adeguati ai suoi Principi Primi. Infatti, come ci attesta la testimonianza di Aristotele nella Metafisica, sono chiamati Uno e Diade indeterminata. Il ricorso al pregiudizio empirico diventa il motivo per spiegare l'intrinseca natura di questi principi, una natura che non è da confondere con gli enti della matematica della tradizione pitagorica. Se il filosofo parla di Uno, non vuole riferirsi certamente al numero uno, anche se il numero uno ha un'ambiguità di proprietà che riesce perfettamente a rappresentare il contenuto ontologico a cui allude Platone. Per intenderci, si consideri a titolo esemplificativo i «numeri figurativi» della tradizione pitagorica: essi pensavano che i numeri fossero delle forme reali e non delle pure astrazioni, tanto che attraverso dei sassolini (calculi) era possibile «costruire» un numero componendo delle figure geometriche, per lo più dei rettangoli. Ora, con un sassolino o con due sassolini non era possibile costruire alcuna figura, perché nell'uno si aveva un punto, nel due si aveva al massimo un segmento. Ciò suggeriva che questi due numeri avessero delle proprietà speciali, ma che per una qualche strana ragione (strana all'intuizione!) non potevano essere rappresentate, anche se in alcune precise condizioni era possibile utilizzarle. Ecco che dietro a queste ambiguità doveva esserci una dimensione originaria della realtà sensibile che sfuggiva alla comprensione intuitiva dell'esperienza concreta; ed è a questo livello ontologico che guarda Platone e lo suggerisce appunto, definendo i suoi principi Uno e Diade.

Quest'ultime considerazioni rivelano perfettamente il motivo per cui indipendentemente dall'essersi occupato o no di matematica, Platone non può ricondursi, se non molto trasversalmente, alla nostra attuale tradizione scientifica, che è erede dell'empirismo e del rivolgimento culturale impresso dal dibattito astronomico. Per noi oggi è impensabile una scienza non intuitiva, che non tragga la veridicità dei suoi asserti dal confronto con l'esperienza sensibile; ecco perché le valutazioni di Platone sul valore della scienza trovano poco accoglimento, almeno nella misura in cui l'assolutismo delle verità ideali venga inteso non come cifra della razionalità degli stessi, ma effetto dell'autoreferenzialità dell'intera scienza. In tal senso, le valutazioni di Platone possono considerarsi confluenti al modello occidentale di scienza che si è imposto culturalmente nel corso dei secoli, ma è una concessione che facciamo a noi stessi, in quanto vogliamo pensare che lo antico filosofo greco continui ad essere una “radice” della nostra civiltà, che noi ci pensiamo ancora in un rapporto di continuità con un certo passato, ma una conoscenza più adeguata ci mostra che non è così. Ciò non vuol dire che questa distanza è motivo di un oblìo che bisogna sconfiggere, e poco importa l'autenticità del pensiero che formuliamo, ma vuol mostrare una diversa attualità della filosofia platonica, almeno su questo punto, un'attualità cioè che non passa dalla continuità storiografica o culturale come in genere la si intende, ma passa attraverso il ripensamento critico soprattutto dinanzi ad alcune operazioni culturali che non tengono conto di molti sviluppi non intuitivi della scienza attuale. In tal senso, la filosofia di Platone ci ricorda questo carattere del sapere scientifico.