Il
titolo dello scritto è abbastanza impegnativo e soprattutto
fuorviante, perché il contributo di Platone alle scienze della
matematica è veramente molto scarso, nonostante l'antico filosofo
nella fase della maturità inizierà una revisione di alcuni dialoghi
in modo da renderli più assimilabili agli sviluppi
aritmetico-geometrici che stava realizzando. Tuttavia, è
perfettamente lecito presentare alcuni temi della filosofia platonica
come premessa concettuale ad un certo sviluppo della matematica
certo, ma soprattutto del pensiero razionalistico greco.
L'aritmetizzazione della filosofia platonica è uno degli esempi
più fulgidi di questo aspetto della cultura greca, spesso sottaciuto
in favore di un modello storiografico che tende ad assimilare la
cultura greca come premessa filosofica irrinunciabile del
Cristianesimo trionfante in epoca tardo antica.
Platone
si occupò di matematica e a suo modo inserì la disciplina entro il
suo sistema filosofico, ma l'interesse da lui manifestato ha avuto
solo il valore pedagogico. La matematica non è una disciplina
assimilabile alla filosofia, perché è l'arte del calcolo e della
misura, il che vuol dire che è un'attività che opera sul piano
della realtà sensibile e che gli oggetti della sua ricerca sono enti
ampiamente compromessi con le proprietà degli esseri sensibili:
queste proprietà sono caratterizzate dalla mutevolezza, dalla
corruzione del divenire, dall'insufficienza e via dicendo,
caratteristiche che non possono comporre in alcun modo un sapere
scientifico stabile ed indubitabile. Ovviamente, per capire la
posizione dello antico filosofo dobbiamo smettere il nostro attuale
modello culturale, che riconosce alla matematica uno statuto ed una
dignità scientifica inconciliabile con le tesi platoniche. Infatti,
l'idea platonica alla base di un così severo giudizio sulla
matematica è quella di confrontarsi con un'attività puramente
speculativa, una condizione che noi oggi realizziamo con l'autoreferenzialità formale della disciplina, ma che è assolutamente
impensabile per Platone. Il discrimine decisivo che fonda il giudizio
platonico è il concetto di razionalità. Per Platone la razionalità
non risiede nella coerenza formale del sistema di proposizioni e di
definizioni che utilizziamo (questo è chiaramente l'idea euclidea di
scienza!), ma nella stessa conoscibilità dell'essenze intime dei
concetti. Se viene a mancare questo, viene a mancare la possibilità
stessa di avere una scienza. La preoccupazione dunque, che affiora in
Platone non è quella epistemologica di definire una strategia di
analisi che riesce ad accedere a spiegazioni realmente esaustive
dell'essenza delle cose, ma è quella gnoseologica di poter stabilire
un'insindacabile verità ultima sulle forme e sui contenuti che
compongono il sapere umano.
A
tal riguardo, le tecniche aritmetiche della matematica non soddisfano
affatto quest'ultima esigenza, che per Platone è decisiva, infatti
esse si limitano ad elaborare una serie di passaggi algebrici che
permettono di operare con i numeri per soddisfare esigenze materiali
e concrete, come a.e. la compravendita di manufatti o la misurazione
di una superficie, ma su quali siano i reconditi motivi che spieghino
la validità di tutti questi procedimenti la stessa matematica ne è
all'oscuro. Ecco perché lamatematica non può esibire uno statuto
scientifico, perché appunto non può spiegare il motivo per cui i
numeri possano comporsi e dividersi secondo le tecniche e le regole
conosciute.
Tuttavia,
nella Repubblica il filosofo propone una gerarchia di
discipline in cui al vertice compare ovviamente la filosofia, ma dove
vi compare anche la matematica. Anzi, se osserviamo questa gerarchia
la collocazione della matematica nello schema generale della
conoscenza platonica suggerisce che in Platone ci sia un'alta
considerazione della disciplina, sia perché si trova in posizione
mediana tra la filosofia e la geometria e la musica, sia perché in
riferimento alle così dette «dottrine
non scritte» la disciplina
raccolgie quegli enti, cioè i numeri, che svolgono una funzione di
intermediazione tra gli esseri e gli enti sensibili e le verità
assolute determinate dai Principi Primi. Infatti, Platone continua ad
accettare la matematica come come un'attività degna di essere
esercitata, perché la trova estremamente utile sul piano pedagogico
e sociale. Nel VII libro della Repubblica Platone disserta sul
suo modello ideale di stato ed in quel libro riconosce alle altre
scienze che non sono la filosofia una dignità sociale, in quanto
utili per la formazione dei cittadini di questo stato ideale. In
riferimento alle teorie espresse dal filosofo negli altri dialoghi,
quest'utilità è determinata dalla loro capacità di poter ridestare
nell'anima tutte quelle nozioni acquiescenti che si trovano
depositate nella memoria cognitiva dell'uomo. Con la teoria
dell'anamnesi e della reminiscenza cognitiva Platone legittima sul
piano sociale e politico una serie di attività che la sua stessa
filosofia ha condannato e ricusato come opinioni. In realtà,
l'utilitarismo espresso da Platone risolve a fatica la taccia di un
pregiudizio, chiaramente assunto, prodotto dall'empirismo greco.
L'aritmetizzazione della realtà sensibile non è stata un'idea
originale di Platone, un secolo e mezzo circa prima di Platone ci
avevano pensato i pitagorici, dai quali derivava anche l'assunto
invalso nella nostra cultura scientifica che per avere delle verità
assolute sulle forme bastava ricorrere al sapere geometrico, un
sapere che è facilmente costruibile con l'uso di un compasso e di
una riga. Una idea che Protagora contestava decisamente, tanto che
sottolineava che le figure della geometria fossero forme inesistenti
nella realtà sensibile, queste sono infatti figure che «si
disegnano» e che «si cancellano». Ora, Platone attenua in parte il
giudizio del grande sofista ateniese, ma in un certo senso continua a
farlo proprio, tanto che ricorre a quest'idea nella nota Lettera
VII per evidenziare che il
sistema dei Principi Primi da lui elaborati non sono le forme della
geometria, forme appunto che possono disegnarsi e cancellare.
Platone
è costretto a porre questa precisazione, perché nonostante i suoi
sforzi non riesce a trovare un nome ed una definizione adeguati ai
suoi Principi Primi. Infatti, come ci attesta la testimonianza di
Aristotele nella Metafisica,
sono chiamati Uno
e Diade indeterminata.
Il ricorso al pregiudizio empirico diventa il motivo per spiegare
l'intrinseca natura di questi principi, una natura che non è da
confondere con gli enti della matematica della tradizione pitagorica.
Se il filosofo parla di Uno, non vuole riferirsi certamente al numero
uno, anche se il numero uno ha un'ambiguità di proprietà che riesce
perfettamente a rappresentare il contenuto ontologico a cui allude
Platone. Per intenderci, si consideri a titolo esemplificativo i
«numeri figurativi» della tradizione pitagorica: essi pensavano che
i numeri fossero delle forme reali e non delle pure astrazioni, tanto
che attraverso dei sassolini (calculi)
era possibile «costruire» un numero componendo delle figure
geometriche, per lo più dei rettangoli. Ora, con un sassolino o con
due sassolini non era possibile costruire alcuna figura, perché
nell'uno si aveva un punto, nel due si aveva al massimo un segmento.
Ciò suggeriva che questi due numeri avessero delle proprietà
speciali, ma che per una qualche strana ragione (strana
all'intuizione!) non potevano essere rappresentate, anche se in
alcune precise condizioni era possibile utilizzarle. Ecco che dietro
a queste ambiguità doveva esserci una dimensione originaria della
realtà sensibile che sfuggiva alla comprensione intuitiva
dell'esperienza concreta; ed è a questo livello ontologico che
guarda Platone e lo suggerisce appunto, definendo i suoi principi Uno
e Diade.
Quest'ultime
considerazioni rivelano perfettamente il motivo per cui
indipendentemente dall'essersi occupato o no di matematica, Platone
non può ricondursi, se non molto trasversalmente, alla nostra
attuale tradizione scientifica, che è erede dell'empirismo e del
rivolgimento culturale impresso dal dibattito astronomico. Per noi
oggi è impensabile una scienza non intuitiva, che non tragga la
veridicità dei suoi asserti dal confronto con l'esperienza
sensibile; ecco perché le valutazioni di Platone sul valore della
scienza trovano poco accoglimento, almeno nella misura in cui
l'assolutismo delle verità ideali venga inteso non come cifra della
razionalità degli stessi, ma effetto dell'autoreferenzialità
dell'intera scienza. In tal senso, le valutazioni di Platone possono
considerarsi confluenti al modello occidentale di scienza che si è
imposto culturalmente nel corso dei secoli, ma è una concessione che
facciamo a noi stessi, in quanto vogliamo pensare che lo antico
filosofo greco continui ad essere una “radice” della nostra
civiltà, che noi ci pensiamo ancora in un rapporto di continuità
con un certo passato, ma una conoscenza più adeguata ci mostra che
non è così. Ciò non vuol dire che questa distanza è motivo di un
oblìo che bisogna sconfiggere, e poco importa l'autenticità del
pensiero che formuliamo, ma vuol mostrare una diversa attualità
della filosofia platonica, almeno su questo punto, un'attualità cioè
che non passa dalla continuità storiografica o culturale come in
genere la si intende, ma passa attraverso il ripensamento critico
soprattutto dinanzi ad alcune operazioni culturali che non tengono
conto di molti sviluppi non intuitivi della scienza attuale. In tal
senso, la filosofia di Platone ci ricorda questo carattere del sapere
scientifico.