martedì 29 ottobre 2019

Spunti di riflessione #1


#SpuntiDiRiflessione, #Scienza

Cosa vuol dire trovare una soluzione, soprattutto ad un quesito posto dall’esistenza? Cosa significa ridurre la stessa realtà sensibile ad un’astrazione matematica? La storia del pensiero scientifico europeo ed occidentale in genere ha una serie di episodi, di aneddoti, di situazioni che collocate in una specifica cornice teorica o più semplicemente in un paradigma concettuale hanno costituito soluzioni o semplicemente metodi di soluzioni a quesiti che in seguito verranno catalogati esclusivamente come “problemi matematici”. La stessa forza di gravità formulata da Galileo Galilei può ascriversi entro questo segmento, in quanto quest’idea che la gravità terrestre potesse essere uniforme in ogni punto dello spazio terrestre è in fondo, un’estensione di una visione geometrica, in particolare di una geometria dei cerchi, il tentativo di applicare schemi e tecniche aliene alla stessa realtà fisica, alla stessa intuizione sensibile.
Questo è il punto. Quando si ragiona sul progresso delle conoscenze, spesso il poter spostare il confine di ciò che è noto da ciò che non lo è, di estendere il dominio delle stesse certezze che compongono le definizioni delle proposizioni scientifiche e non solo non è solo (e sempre) un accumulo di nuove esperienze, di nuovi dati compresi, ma è per lo più la capacità creativa dell’essere umano di adottare ( e di adattare) formule della realtà astratta a quello scenario così concreto, così materiale che è l’esistenza. Una capacità che ammette in via preventiva la traduzione della stessa esistenza in un “problema” che chiede di essere risolto, in una questione che chiede di essere emendata (cfr. Antonio Banfi e il Problematicismo), ma per fare questo significa avere anzitutto, la capacità di convertire le forme in qualcosa di inatteso, non necessariamente in qualcosa di sorprendente, insomma in una forma controintuitiva.
È su questa profonda ed intrinseca realtà del sapere che la filosofia ha trovato la sua origine, cioè nella stessa attitudine umana verso un’esteriorizzazione aliena, tremendamente e sconvolgentemente lontana da tutto ciò che viene registrato dalla conoscenza sensibile, da tutto ciò che è intuizione sensibile. Così si è mosso l’antico razionalismo greco con l’individuazione di quella regione trascendentale che è la Seconda Navigazione dello ateniese Platone; così è stato le sconvolgenti e non facilmente accettati argomenti dello Scetticismo di epoca tardo antica e di epoca moderna; così è successo alla stessa Teoria della relatività di Albert Einstein.
Ora, se le proiezioni geometriche sono forme astratte che definiscono di per sé uno spazio estraneo, se non addirittura antitetico alla stessa intuizione sensibile, la storia del pensiero scientifico non è solo la narrazione costante di un dissidio insanabile tra l’intuizione dei sensi e la modellizzazione teorica, ma è soprattutto una lotta costante del genio umano alla refrattarietà della realtà a piegarsi alla forma modellata dall’astratto intelletto. La via infatti, indicata in epoca illuministica dalla filosofia di Immanuel Kant è il tentativo di sanare, stavolta in via definitiva, quest’intrinseco dissidio riportando la stessa metafisica ad essere quel piano di realtà che l’antica filosofia le aveva assegnato, facendo coincidere le forme dell’intuizioni sensibile con le due forme fondamentali predeterminate della stessa intuizione sensibile, vale a dire le forme pure (a priori) di spazio e tempo. Poiché la realtà sensibile è effetto del modo con cui il soggetto di un’esperienza descrive e vive questa stessa esperienza, la base di questa esperienza è quest’immagine che dà forma ad una materia bruta, che diventa a sua volta comprensibile dopo un trattamento sintetico di forme che la spazializzano e che la temporalizzano.
La conseguenza principale di ciò è abbastanza evidente, indica cioè che il fondamento della realtà sensibile ha una dimensione che è estranea alla stessa intuizione (come avevano detto gli antichi filosofi), ma per di più lo esito kantiano di identificare le basi dell’intuizione con alcune strutture dell’astrazione ha imposto un’identità tra realtà ed astrazione formale dove il discorso scientifico è un prodotto condizionato, poiché legato alle stesse forme che descrivono oggettivamente la realtà intuita.
Cambiare paradigma dunque, ha voluto significare nella cultura scientifica del dopo XIX secolo intraprendere un percorso controintuitivo, la formulazione di teorie sempre più astratte e che mal si accordassero con gli esiti ordinari dell’intuizione quotidiana. Un viaggio che rivela sempre più l’esposizione della scienza allo stato di incertezza, alla probabilità statistica, alla rarefazione (se non addirittura all’assenza) di prove scientifiche, per lo più “prove di laboratorio”, a conferma di teorie e di leggi e tutto ciò senza il conforto di metafisiche meccanicistiche.
Questo procedere senza salvagente, che in termini più espliciti significa procedere (o dover procedere) lungo la china di un formalismo estremo non è effetto di un divorzio dalla realtà sensibile come la controintuizione sembra suggerire, ma è effetto proprio del legame che è stato rinsaldato con la stessa realtà empirica. Il realismo che è stato per molti secoli alla base delle diffuse e note convinzioni scientifiche è prodotto sì da una sovrapposizione metafisica del piano di realtà con quello ideale, ma è stato soprattutto conseguenza di una filosofia scissionista, fondata sulla netta separazione tra realtà sensibile ed intuizione. La possibilità della realtà si è identificata con la capacità delle forme astratte di rappresentare e di descrivere questa stessa realtà materiale, di qui la convinzione, in seguito smentita dalla logica dell’assurdo di Carroll Lewis e del suo Wonderland, di una commistione tra logica e realtà, che i fenomeni empirici seguissero e si accordassero con le leggi ferree della razionalità umana, del categorismo aristotelico o dell’esclusione della contraddizione del logicismo più ortodosso.
Le contraddizioni cumulate dal discorso scientifico e da parte della scienza spingono a gettare l’imbardatura dell’antico sapere e a tal riguardo, il pensiero è costretto non a riconquistare quell’antica signoria perduta (e forse mai avuta), ma provare a creare qualcosa che sia per sua intrinseca natura senza fondamento, relativo e drammaticamente incerto. Incerto e terribile, al di fuori di schemi misericordiosi già fissati e con la stessa consapevolezza che ogni scelta è solo un’opportunità probabile e non salde verità.

                              Porto Empedocle, 29 ottobre 2019