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Cosa vuol dire trovare una
soluzione, soprattutto ad un quesito posto dall’esistenza? Cosa significa
ridurre la stessa realtà sensibile ad un’astrazione matematica? La storia del
pensiero scientifico europeo ed occidentale in genere ha una serie di episodi,
di aneddoti, di situazioni che collocate in una specifica cornice teorica o più
semplicemente in un paradigma concettuale hanno costituito soluzioni o
semplicemente metodi di soluzioni a quesiti che in seguito verranno catalogati
esclusivamente come “problemi matematici”. La stessa forza di gravità formulata
da Galileo Galilei può ascriversi entro questo segmento, in quanto quest’idea
che la gravità terrestre potesse essere uniforme in ogni punto dello spazio
terrestre è in fondo, un’estensione di una visione geometrica, in particolare
di una geometria dei cerchi, il tentativo di applicare schemi e tecniche aliene
alla stessa realtà fisica, alla stessa intuizione sensibile.
Questo è il punto. Quando si
ragiona sul progresso delle conoscenze, spesso il poter spostare il confine di
ciò che è noto da ciò che non lo è, di estendere il dominio delle stesse
certezze che compongono le definizioni delle proposizioni scientifiche e non
solo non è solo (e sempre) un accumulo di nuove esperienze, di nuovi dati compresi,
ma è per lo più la capacità creativa dell’essere umano di adottare ( e di
adattare) formule della realtà astratta a quello scenario così concreto, così
materiale che è l’esistenza. Una capacità che ammette in via preventiva la
traduzione della stessa esistenza in un “problema” che chiede di essere
risolto, in una questione che chiede di essere emendata (cfr. Antonio Banfi e
il Problematicismo), ma per fare questo significa avere anzitutto, la capacità
di convertire le forme in qualcosa di inatteso, non necessariamente in qualcosa
di sorprendente, insomma in una forma controintuitiva.
È su questa profonda ed
intrinseca realtà del sapere che la filosofia ha trovato la sua origine, cioè
nella stessa attitudine umana verso un’esteriorizzazione aliena, tremendamente e
sconvolgentemente lontana da tutto ciò che viene registrato dalla conoscenza
sensibile, da tutto ciò che è intuizione sensibile. Così si è mosso l’antico
razionalismo greco con l’individuazione di quella regione trascendentale che è
la Seconda Navigazione dello ateniese Platone; così è stato le sconvolgenti e
non facilmente accettati argomenti dello Scetticismo di epoca tardo antica e di
epoca moderna; così è successo alla stessa Teoria della relatività di Albert
Einstein.
Ora, se le proiezioni
geometriche sono forme astratte che definiscono di per sé uno spazio estraneo,
se non addirittura antitetico alla stessa intuizione sensibile, la storia del
pensiero scientifico non è solo la narrazione costante di un dissidio
insanabile tra l’intuizione dei sensi e la modellizzazione teorica, ma è
soprattutto una lotta costante del genio umano alla refrattarietà della realtà
a piegarsi alla forma modellata dall’astratto intelletto. La via infatti, indicata
in epoca illuministica dalla filosofia di Immanuel Kant è il tentativo di
sanare, stavolta in via definitiva, quest’intrinseco dissidio riportando la
stessa metafisica ad essere quel piano di realtà che l’antica filosofia le aveva
assegnato, facendo coincidere le forme dell’intuizioni sensibile con le due
forme fondamentali predeterminate della stessa intuizione sensibile, vale a
dire le forme pure (a priori) di spazio e tempo. Poiché la realtà sensibile è
effetto del modo con cui il soggetto di un’esperienza descrive e vive questa
stessa esperienza, la base di questa esperienza è quest’immagine che dà forma
ad una materia bruta, che diventa a sua volta comprensibile dopo un trattamento
sintetico di forme che la spazializzano e che la temporalizzano.
La conseguenza principale di
ciò è abbastanza evidente, indica cioè che il fondamento della realtà sensibile
ha una dimensione che è estranea alla stessa intuizione (come avevano detto gli
antichi filosofi), ma per di più lo esito kantiano di identificare le basi dell’intuizione
con alcune strutture dell’astrazione ha imposto un’identità tra realtà ed
astrazione formale dove il discorso scientifico è un prodotto condizionato,
poiché legato alle stesse forme che descrivono oggettivamente la realtà
intuita.
Cambiare paradigma dunque, ha
voluto significare nella cultura scientifica del dopo XIX secolo intraprendere
un percorso controintuitivo, la formulazione di teorie sempre più astratte e
che mal si accordassero con gli esiti ordinari dell’intuizione quotidiana. Un
viaggio che rivela sempre più l’esposizione della scienza allo stato di
incertezza, alla probabilità statistica, alla rarefazione (se non addirittura
all’assenza) di prove scientifiche, per lo più “prove di laboratorio”, a
conferma di teorie e di leggi e tutto ciò senza il conforto di metafisiche
meccanicistiche.
Questo procedere senza
salvagente, che in termini più espliciti significa procedere (o dover procedere)
lungo la china di un formalismo estremo non è effetto di un divorzio dalla
realtà sensibile come la controintuizione sembra suggerire, ma è effetto
proprio del legame che è stato rinsaldato con la stessa realtà empirica. Il
realismo che è stato per molti secoli alla base delle diffuse e note convinzioni
scientifiche è prodotto sì da una sovrapposizione metafisica del piano di
realtà con quello ideale, ma è stato soprattutto conseguenza di una filosofia
scissionista, fondata sulla netta separazione tra realtà sensibile ed
intuizione. La possibilità della realtà si è identificata con la capacità delle
forme astratte di rappresentare e di descrivere questa stessa realtà materiale,
di qui la convinzione, in seguito smentita dalla logica dell’assurdo di Carroll
Lewis e del suo Wonderland, di una commistione tra logica e realtà, che i
fenomeni empirici seguissero e si accordassero con le leggi ferree della
razionalità umana, del categorismo aristotelico o dell’esclusione della
contraddizione del logicismo più ortodosso.
Le contraddizioni cumulate dal
discorso scientifico e da parte della scienza spingono a gettare l’imbardatura
dell’antico sapere e a tal riguardo, il pensiero è costretto non a
riconquistare quell’antica signoria perduta (e forse mai avuta), ma provare a
creare qualcosa che sia per sua intrinseca natura senza fondamento, relativo e
drammaticamente incerto. Incerto e terribile, al di fuori di schemi
misericordiosi già fissati e con la stessa consapevolezza che ogni scelta è
solo un’opportunità probabile e non salde verità.
Porto Empedocle, 29 ottobre
2019