venerdì 22 febbraio 2019

Sulla divisione euclidea come metafora della mentalità capitalistica

#Rubricando
[Provo a giocare con alcune nozioni di matematica, mettendo in rilievo le affinità, le implicazioni e le varie conseguenze sul piano filosofico. Un modo forse, che ripristina quell’antico legame epistemologico che la teoria filosofica contemporanea sembra non voler ricordare o accettare chissà, oppure che vuole confinare (e non ha tutti i torti) esclusivamente alla dimensione della scienza.
Insomma, un altro modo di giocare e forse di ragionare.]

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New York City con sullo sfondo la nuova torre del World Trade Center.



Sulla divisione euclidea come metafora della mentalità capitalistica

  Ecco questa piccola operazione elementare, 30 diviso 7 uguale 4 con resto di 2. Beh, sono o non sono un grande capitalista?
  La contemporaneità ha ampiamente codificato il concetto di “capitalismo”, fissando l’idea vera che il sistema economico del capitalismo sia una struttura materiale (e giuridica da quando si è imposta l’economia mista) incentrata sull’accumulo del capitale e sulla definizione della proprietà privata, soprattutto dei mezzi di produzione, tanto che per capitalismo non pensiamo più al modo di cumulazione delle risorse, ma al netto accentramento in mani limitate degli stessi mezzi di produzione. Possesso tutelato appunto dall’istituto della proprietà privata.
  Una visione del capitalismo interessata ovviamente, ma intrinsecamente corretta, perché oggi essere o non essere capitalisti dipende esclusivamente non tanto dal possesso “materiale” di una rendita o proprietà (oggi cartolarizzata e facilmente vaporizzata dai movimenti finanziari globali), ma dal possesso privato o partecipato (cfr. l’istituto della cooperativa) di un qualche mezzo di produzione, fosse anche qualche esiguo attrezzo di lavoro. Per tale ragione, la via intrapresa negli ultimi decenni dalle economie mondiali (almeno quelle più ricche) di una diaspora della proprietà privata (intesa appunto come istituto giuridico) è sì uno effetto dell’eccessiva finanziarizzazione delle economie locali (qualcuno dirà “economie reali” o “regionali”), ma un evidente segno del mutamento del sistema capitalistico, più camaleontico di quel che alcune storiche figure del comunismo contemporaneo pensavano e così facendo rinnovandosi continuamente ed in fondo senza un preciso scopo, tranne quello vitalistico di sopravvivere, come l’essere umano.
  Tuttavia, alcune stagioni culturali passate, precisamente a cavallo tra il XIX secolo ed il XX secolo inizia una ampia riflessione sulla natura del capitalismo (in realtà, già iniziata con la filosofia sociale degli utopisti socialisti e poi dal materialismo storico marxista) e soprattutto sulla sua origine. Alcuni saggisti tra cui il filosofo e saggista e antropologo Georges Bataille, riferendosi in particolare alle culture arcaiche dell’America precolombiana, pensa che alle origini del capitalismo vi siano i riti del potlatch, incentrati sul dispendio o sullo spreco delle risorse accumulate e sottoposte a riti di mera distruzione in quanto offerta votiva al proprio pantheon religioso. Il tema del dono e del sacrificio (umano in particolare), ancora legati ad una mentalità primitiva, istruiscono un sistema sociale che è anzitutto culturale e solo in seguito economico, almeno nel modo in cui intendiamo noi oggi la parola “economia”.

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  In questo scenario è del tutto evidente che la matrice pre-capitalistica sia proprio ciò che un certo pensiero anticapitalista denuncia (antiglobalismo socialista), appunto lo spreco e l’insensata distruzione delle esigue risorse naturalistiche ed economiche. Ed in un certo senso è vero, ma è un’interpretazione che mira ad addossare troppo facilmente al capitalismo gli effetti di una condotta tipicamente umana e che consiste appunto nella distruzione: la civiltà umana è progredita proprio inseguendo il suo istinto predatorio e ademico producendo o esasperando da un lato tutte le contraddizioni che derivano da questo istinto e dall’altro lato risolvendo tramite un esasperato sviluppo tecnologico i problemi da essa innescati. Tuttavia, in questa corsa verso l’autodistruzione l’intervento del capitalismo è quello tuttosommato di un regolatore e di un metodo razionale di condotta e di istituzione del rapporto umano con l’ambiente e la natura.
  In tal senso, l’azione capitalistica di accumulazione di un capitale non è solo la famelica insaziabilità umana - certo, anche questo -, ma è anche il tentativo credo in buona parte riuscito di preservare dallo spreco quella quantità estratta dall’uso delle risorse e che è stato oggetto dell’azione distruttrice dei riti di fecondità indicati da Bataille. In ciò la semplice divisione euclidea può considerarsi un monito e forse la miglior prova della evoluzione della civiltà umana.
  Per divisione euclidea intendo ovviamente la semplice operazione aritmetica che i vari maestri di scuola elementare insegnano ai bambini. È noto cosa sia la divisione, meno consueto è guardare a questa operazione aritmetica come lo schema di un algoritmo, cioè l’insieme di alcune operazioni con le quali mettere in relazione due quantità. Infatti, la divisione di 30 monete per 7 persone produce un quoziente di 4 monete ed un resto di 2 monete. Ciò significa che delle 30 monete totali in mio possesso solo 4 di esse spetterà a testa alle 7 persone o bambini a cui le distribuisco. Tuttavia, di quel totale di monete solo 2 rimangono indivise, a meno che utilizzassi i centesimi ed iniziassi una distribuzione anche dei vari centesimi: è una idea, ci penserò..
  Il nostro argomento comunque vuole focalizzarsi sul destino delle 2 monete non distribuite. Infatti, se io volessi privarmene la teoria matematica antica mi offriva due possibilità:
  1. implementare le monete totali in modo che all’atto della divisione il quoziente risulti più alto ed in ogni caso senza che sia prodotto alcun resto;
  2. cumulare o distruggere le 2 monete rimaste, perché le quote decimali diventano rilevanti, cioè significative solo se diventano grandezze intere.


  L’accumulazione, o per usare una terminologia più politicamente corretta il risparmio, può intendersi proprio come la difesa culturale prima e giuridica poi, appunto di questa quantità, cioè del resto di una semplice divisione aritmetica. Infatti, il modo in cui una intelligenza è capace di trattare quantità descrive idealmente anche l’evoluzione o il progresso culturale e materiale compiuto. Nel momento in cui l’essere umano comprende che la quantità per quanto piccola possa essere non è necessariamente sprecabile (tranne ovviamente nella misura in cui si accetta lo spreco come uno stile di vita: è l’idea di Bataille), ecco che cambia anche il modo in cui si può operare su queste quantità. La divisione euclidea non tiene conto del fatto di poter dividere ulteriormente le quantità in unità più piccole - si chiama fattorizzazione -, tuttavia rivela un problema che è anzitutto aritmetico, ma che diventa una sorta di metafora filosofica con la quale leggere un certo sviluppo della storia umana.
  In questa linea storica grande interesse avrà la scoperta di classi numeriche diverse da quella degli interi a.e., l’invenzione di una metodologia di calcolo che permetta di operare su intervalli numerici addirittura più piccoli degli interi e così via. L’aritmetica elementare insomma, per quanto semplice possa apparire, può essere un valido modo per stimolare a ragionare in modo rovesciato ed in fondo, abituare noi tutti ad un pensiero arroccato sulle sue posizioni consuete.