lunedì 26 novembre 2018

Il tangram contro lo scandalo geometrico del V postulato di Euclide

Immagine tratta dal web dell'Ostamachion, il più antico puzzle di cui si ha notizia


   Studiando le azioni di gioco e le strutture normative che regolano l'andamento di una partita si rivela l'esistenza di alcune strutture matematiche, alcune molto semplici, altre un poco più complesse; in ogni caso, tutte sono riflessi più o meno elaborati di ritrovati scientifici e teorici.
   Così è anche per un antico gioco cinese che ricorre alla dissezione di un quadrato in forme più piccole e al mescolamento di quest'ultime in figure di vario profilo. Il gioco noto in Europa con il nome di tangram si diffonde nel nostro continente intorno alla seconda metà dell'Ottocento ed è un rompicapo molto simile ad un altro antico puzzle, stavolta di origine europea, greca in particolare, che è l'Ostamachion, ricorre appunto al mescolamento di piccoli pezzi in modo da ottenere figure sempre diverse da quella di partenza, in genere un quadrato, anche se in Cina esiste un altro formato che sviluppa la variabilità dei pezzi di un ovale.
   La caratteristica più interessante della vicenda relativa a questo antico gioco è proprio l'epoca della sua diffusione. La composizione delle varie figure si basa sulla stessa idea euclidea di equiestensione delle superfici, cioè pur producendo forme diverse la somma di tutti i pezzi è uguale all'intera estensione del quadrato dissezionato di partenza. Un'idea di equivalenza antica che si basa su una definizione del piano geometrico in cui gli elementi ivi immersi sono misurabili ricorrendo semplicemente ad un righello e ad un compasso: in fondo, le figure componibili nel tangram rispondono a questa caratteristica. Tuttavia, all'epoca in cui questo gioco viene riscoperto in Europa la situazione intellettuale e teorica è totalmente antitetica alla prospettiva euclidea della geometria, iniziavano ad affermarsi nel dibattito teorico le così dette "geometrie non euclidee", le quali strutturano e definiscono il piano geometrico con esiti assolutamente incompatibili al sistema euclideo.
   In tal senso, il successo europeo del tangram e della logica di gioco che rappresenta è in fondo la reazione di contrappasso della cultura europea al tentativo vincente dell'epistemologia scientifica di mutare il paradigma geometrico rappresentato dalla geometria di Euclide, assunta da diversi secoli come modello assoluto del sapere scientifico. Dopo la seconda metà del XIX secolo così non sarà più.


venerdì 16 novembre 2018

Distrattamente ragionando su...Alcuni evergreen della Sinistra italiana

Distrattamente ragionando su...
   Questo è il primo video di un'ipotetica ed ancora da sviluppare in realtà, rubrica dove appago la mia coscienza civica frustrata, assecondando una vecchia passione giovanile come è stato l'interesse verso la dialettica politica. Il video è uno spunto di riflessione o di commento tratto da interventi pubblici, discorsi o dichiarazioni da nuovi, vecchi o addirittura "antichi" leader politici. E' un modo del tutto personalissimo per interagire con un sistema di opinioni o di idee senza costringermi ad un'attivismo in senso stretto. Insomma, una specie di "salotto" politico che forse fa il verso ad iniziative simili ben più titolate, ma che ha la sola utilità di dare contezza della mia opinione e valutazione su singole tesi politiche o su un qualsivoglia concetto o tema affine.

Alcuni evergreen della sinistra italiana
   Lo spunto e l'oggetto di riflessione e meditazione, un pò da "scuola politica", sono alcuni minuti di un discorso tenuto dal segretario del Partito Comunista Palmiro Togliatti nel 1960 durante la prima edizione e puntata della Tribuna politica, un programma giornalistico ideato dalla RAI dove si concedeva ai politici italiani uno spazio di propaganda e di presentazione e confronto dei temi politici sia della campagna elettorale sia più in generale della politica: lascio il link da dove è tratto.
   Il discorso viene tenuto dal leader comunista in occasione delle politiche del novembre del 1960 e per quanto mi riguarda è un buon esempio dei "ritornelli" tipici dell'oratoria della sinistra italiana; in questi minuti di conferenza il segretario del Partito Comunista introduce alcuni dei temi tipici della strategia della sinistra in Italia, temi che nel corso delle vicende politiche ed intellettuali di questo Paese torneranno con una certa frequenza e costantemente non abbandonando l'immaginario politico degli elettori di sinistra. I temi qui individuati sono:
1. anzitutto, l'importanza della partecipazione del Partito Comunista al sistema comunicativo collettivo: è un fatto per nulla irrilevante, perché segna la legittimità politica o la "cittadinanza civica e politica" del proprio partito dentro l'apparato repubblicano. Se pensiamo al clima di sospetto che grava sul P.C. nel dopoguerra, è ovviamente un fatto di grande importanza;
2. l'inscrizione del Partito Comunista dentro l'asse parlamentare della Repubblica Italiana: la riconversione dell'azione rivoluzionaria in opposizione politica-riformistica, che configura di fatto la "via social-democratica" del P.C., è un aspetto molto caro alla dirigenza politica dell'epoca, perché mira ad attestare una patente istituzionale all'azione del partito e soprattutto mira ad allontanare dalle proprie intenzioni ogni sospetto di colpi di stato;
3. la vocazione e rappresentanza dell'opposizione in Italia espressa dal P.C.: questo è uno dei ritornelli più ricorrenti nella dialettica della sinistra italiana, un pò perché i risultati elettorali ne danno contezza, un pò perché sembra definire una natura insita nell'elettore di sinistra;
4. la difesa delle istituzioni democratico-repubblicane e con esse la tradizione resistenziale da cui derivano: questo è un altro tema costante nel paesaggio culturale e dottrinario della sinistra italiana e che determinerà anche uno dei motivi più qualificanti ed identitari dell'essere di sinistra, addirittura più dell'approccio internazionalistico, distinto dall'attitudine globalista. La Carta Costituzionale diventa il prodotto più chiaro dell'autenticità dell'azione politica del P.C., sia perché vi è la partecipazione del partito alla sua scrittura, sia perché il dettato costituzionale sembra risolvere la stessa Repubblica Italiana con una coloritura "socialistica" che il P.C. ha contribuito a conferire;
5. il tema del lavoro e la stretta correlazione ottocentesca del lavoro con la dignità individuale del cittadino: questo è uno dei mantra assoluti nella definizione di un programma politico, di cui però non si avvede l'assoluta retriva natura conservatrice, perché è in virtù di quest'assioma che la politica economica della sinistra italiana si orienterà sempre e comunque in direzione di un dirigismo economico e statalista, con l'intervento pubblico dello Stato nelle varie dinamiche economiche della nazione. Qualcosa che non ha a che fare con la così detta "economia mista". Considerazione sulla scelta del modello economico di Keneys.
6. la definizione del Partito della Democrazia Cristiana come partito di regime ed autoritario: la vicenda relativa al processo di Milano degli anni Novanta, noto come "Mani pulite", è in una certa misura la prova processuale della validità del modello togliattiano di costruire il proprio nemico esterno ed il proprio avversario, tuttavia se qui le critiche togliattiane hanno una funzione dialettica, la vicenda processuale di Mani pulite fisserà indelebilmente quest'immagine e definirà il suindicato regime di corruttele e di malaffare incarnato dal partito della Democrazia Cristiana, anche se poi le condanne effettive saranno poche e non relative ad esponenti di alto profilo;
7. infine, la titolarità dell'esistenza del P.C. nell'ambito delle strutture della Repubblica Italiana in quanto il partito è la "via" più giusta ed autentica dentro ed in direzione di una socialdemocrazia: qui, viene suggerita una posizione che diventerà strategia politica vera e propria con la segreteria di Enrico Berlinguer, il che mi sembra evidente.
   Ora, alcuni di questi temi sono caduti in disuso, come a.e. l'uscita dalla clandestinità, tanto che Togliatti sottolinea con enorme soddisfazione la sua partecipazione ad un programma radiotelevisivo, da cui il P.C. era escluso da cinque anni: la RAI inizierà la proprie trasmissioni solo nel 1955 e prima di allora, i proclami e le dichiarazioni ufficiali avvenivano tramite comunicati radio e non televisivi. Tutti gli altri rimarranno degli autentici "evergreen" nell'oratoria della sinistra italiana, con una cadenza ossessivamente stagionale e così pervicace tanto da ritrovarceli ancora adesso in molte dichiarazioni pubbliche dei politici attuali e con una trasversalità oggettivamente imbarazzante.
   Scegliere anche uno solo di questi temi significa riaprire un vecchio libro di storia, con i suoi paradigmi interpretativi più o meno superati, con le sue immagini leggermente appannate, tuttavia questo libro è solo impolverato, ma non inattuale. E' sorprendente come nonostante l'evidente distanza temporale, sottolineata in fondo dal programma in bianconero, il tempo sembra essersi fermato, anzi no, sembra dilatato oggigiorno, proprio per quella scelta di temi proposta da Togliatti e che sembrano aver superato i limiti temporali del contesto storico ed il dibattito politico che li hanno prodotti. Qualcuno penserà che sia una forma di nostalgia, io in realtà penso che sia una forma di scavo palingenetico di una tipologia di elettore, in specifico l'elettore italiano di sinistra.
   E' chiaramente indubbio che molti elettori di sinistra abbiano il piacere ed il gusto di ascoltare questi ritornelli e non solo perché drammaticamente attuali o compatibili con la vigente situazione economico-sociale odierna, ma perché vige l'illusione nell'uomo di sinistra di essere un progressista, un innovatore, un uomo del futuro votato verso la novità, qualcuno forse l'ha notato la sottile operazione dialettica effettuata da Togliatti di rappresentare il proprio partito non come una forza conservatrice, ma come una forza di opposizione democratico-repubblicana orientata unicamente a contrastare la reazione espressa dal sistema formulato dal Partito della Democrazia Cristiana, partito di governo certo, ma partito dell'oppressione, di un regime in cui le libertà costituzionali, fondamentali nella caratterizzazione delle strutture repubblicane, sono messe sistematicamente a rischio e disattese, tra queste - decisivo per un partito operaista come il P.C. - il diritto del lavoro. Si può discutere quanto si vuole sull'insensibilità togliattiana e dei comunisti in generale, di non assegnare e delegare unicamente al legame lavoro-benessere, produzione-dignità e altre forme aberranti che hanno trovato la crudele ironia nazista, il fondamento materiale e morale dell'essere cittadino, tuttavia le dichiarazioni togliattiane descrivono un'impostazione dottrinaria, temi politici e prospettive di soluzioni che non abbandoneranno tanto facilmente la dialettica politica italiana, a diversi livelli, compresi quelli istituzionali.
   Una linea di continuità che tradisce la vera natura progressista del P.C. e che descrive la retriva cifra conservatrice sia della sinistra italiana (in genere), sia dello stesso dibattito politico italiano. Ora, credo di ripetermi, ma la difesa della Carta Costituzionale, che non è il Vangelo per fortuna, che ha ragioni storicamente determinate nel discorso togliattiano è un vero e proprio evergreen, così pervasivo che recentemente ha avuto una sua riproposizione nel dibattito politico italiano e ha conosciuto una trasversalità sospetta e chiarificatrice dell'eccessiva compromissorietà partitica delle forze politiche coinvolte: in tempi recenti il Partito Democratico, stoltamente definito il PdR, cioè il Partito di Renzi (dal nome del segretario dell'epoca!), ha incarnato in occasione del referendum una spinta anticonservatrice, ma la sovranità popolare cavalcata da un fronte trasversale (FI, FdI, Lega Nord, M5S, Liberi e Uguali e varie altre forze minori) ha chiaramente votato per la conservazione, cioè il mantenimento della Costituzione così com'è. Certo, ciò che ai tempi di Togliatti appariva la conservazione, oggi è invece il "progresso" e viceversa, ma può applicarsi al discorso togliattiano lo stesso criterio demistificatore utilizzato dal segretario comunista, cioè che ciò che lui indicava come reazione in realtà, fosse la via più semplice e più normale per l'affermazione di alcune libertà democratiche riconosciute proprio dal mandato costituzionale e che in alternativa, la sua politica di opposizione fosse un'azione inibitrice di possibili sviluppi: se non modifichi a.e., l'idea che il benessere di una nazione sia solo il P.I.L., cioè la ricchezza prodotta, mi pare del tutto evidente che qualsiasi proposito di innovazione o di progressismo si inscriva a parti rovesciate sulla stessa logica del potere costituito, in pratica P.C. e Democrazia Cristiana a parti rovesciate sono entrambe ascrivibili a forze di conservazione ed è solo un gioco di ruolo indicare l'una partito dell'oppressione e l'altro partito della libertà.

domenica 11 novembre 2018

Le ragioni filosofiche dello scetticismo pascaliano sulla filosofia cartesiana

(immagine tratta dal web)

   La ricerca epistemologica della verità si è da sempre imposta il metodo analitico, cioè il discettare da un certo contenuto proprietà e qualità ritenute decisive per la determinazione essenziale del suddetto e questo nella tradizionale convinzione che questo lungo procedere avesse una conclusione e che quest'ultima fosse in modo irrefutabile la verità, nella sua assolutezza. Il problema della definizione della pienezza di questa verità ricavata dialetticamente tramite la dicotomizzazione dei concetti ha richiesto, a sua volta, una fondazione metafisica, un principio generalissimo che affermava e spiegava le varie conclusioni epistemologiche. Ecco che allora, l'epistemologia scivola inevitabilmente verso la metafisica e così facendo finisce per esserne dipendente e subordinato. Un modello formulato già da Aristotele, ma che perdurerà con estremo successo nel pensiero filosofico europeo, nonostante le epoche filosofiche (es. il Medioevo con la sua teologia) e nonostante le svolte filosofiche (es. l'epoca moderna con la reimpostazione empiristica dei temi scientifici).
   In questo quadro storiografico la filosofia del francese Reneé Descartes, noto con il nome latinizzato di Cartesio, occupa un momento fondamentale, usurpato, per così dire, solo dalla filosofia del tedesco Immanuel Kant, perché definirà per circa un secolo un'imponente influenza nei dibattiti scientifici europei, almeno fino alla comparsa dell'opera di Isaac Newton che rivoluzionerà drasticamente il pensiero scientifico europeo e mondiale.
   La dimensione filosofica che interessa in questo scritto è il contributo filosofico-matematico aportato dal filosofo francese alla scienza europea, un contributo totalmente antitetico alle attuali esigenze fondazionali della filosofia più recente e dove il tema dello statuto dei fondamenti viene formulato secondo alcuni criteri tradizionali che non quelli dell'identità tetica dell'Io. In tal senso, l'intuizione decisiva di Cartesio è stata quella di congiungere il metodo analitico, che da Platone in poi ha avuto una natura dialettica, con le scienze astratte, cioè con la matematica e la geometria, realizzando in effetti quello che la storiografia indica con la "aritmetizzazione della geometria", che come è noto verrà rovesciata in tempi recenti dalla "geometrizzazione dell'algebra". Ciò significa che per Cartesio la verità filosofica può affiorare anzitutto tramite una disamina metodologica operata con le scienze astratte, le quali eliminano dal computo del problema ogni forma di contraddizione e di dubbio, quindi di errore, che rende difficile se non impossibile l'individuazione della suddetta verità, che per il filosofo è unica ed è razionale: nel linguaggio attuale è intellettiva.
   L'uso delle scienze astratte svolge una funzione di setaccio con la quale eliminare le menzogne e le falsità, il che è una riattualizzazione del tradizionale procedimento analitico del pensiero antico, tuttavia rispetto a questo modello di riferimento la filosofia cartesiana prevede di far progredire parallellamente sia il sapere epistemologico sia la conoscenza metafisica, nel senso che acquisendo la certezza epistemologica che i vari contenuti dell'analisi siano chiaramente determinati, da questa sicurezza affiora in modo spontaneo ed immediato la loro intrinseca validità filosofica. Il meccanismo formulato da Cartesio nel suo famoso Discorso sul metodo e precisato nei suoi aspetti nelle Meditazioni filosofiche (da segnalare in particolare la prima) prevede che l'analisi astratta funga da apparato metodico con lasciar trapelare le conoscenze scientifiche come evidenze assolute. La conoscenza scientifica è infatti, quel prodotto derivato dal progredire da contenuti falsi o contraddittori verso contenuti assolutamente certi ed indubitabili, per quest'ultima ragione il metodo cartesiano  viene detto anche del "dubbio metodico", perché qualche secolo prima di Karl Popper si ammette la messa in discussione di singole verità per mostrarne sia la validità sia la loro indubitabilità: ovviamente, la falsificazione popperiana riguarda un intero paradigma teorico e tende ad essere un atto d'imperio intellettuale del tutto indifferente alla tradizione storica di riferimento della teoria, ma a parte queste differenze le similarità sono molto marcate.
   La verità così raggiunta diventa un valore filosofico assoluto ed un'intuizione astratta incontestabile. Il problema di questa prospettiva è semmai, che il filosofo francese crede fermamente che l'affinamento in direzione dell'astrattismo concettuale possa fornire tutti gli elementi possibili che corrobori e renda valida la stessa intuizione e l'evidenza intellettiva che la determina. Infatti, il dubbio e la contraddizione svaniscono improvvisamente nel momento in cui si afferma risolutamente l'evidenza di una conoscenza, il problema è che - come ricorda Blaise Pascal - ciò che può essere intuitivamente immediato ad un soggetto, non lo è per un altro: non a tutti a.e., è una verità intuitiva la stessa natura dei numeri matematici! Allora, l'idea cartesiana che l'affinamento metodologico apportato dallo studio di matematica e geometria possa irrobustire l'intuizione e che questa possa produrre contenuti scientifici ed indubitabili è uno dei limiti della filosofia cartesiana, perché rinuncia per definizione a dare valore al "senso comune" e alle varie "verità comuni" e così facendo non pensa di formulare un meccanismo che preveda appunto la possibilità di gestire quelle verità intuite e basate sul "senso comune". In ogni caso, la cernita metodologica cartesiana è tesa a trovare tutte quelle verità assolute, la cui validità è oggettiva ed indiscutibile e che risultino chiaramente evidenti alla ragione. Tra queste verità inserisce anche l'esistenza individuale, fissata dalla nota - e spesso travisata - formula del cogito, ergo sum.
   In questo caso, Cartesio non apporta nessuna innovazione rispetto alle convinzioni del pensiero antico, perché come da Parmenide in poi, cioè dal razionalismo greco in poi, la validità epistemologica e scientifica (cioè metafisica!) è data dall'affermazione dello stato di esistenza di un contenuto, per cui il soggetto avvertendo chiaramente di esistere, questa sua verità fondamentale diventa il tramite indiretto con il quale dare sostegno e validità all'attività intellettuale, del cogitare appunto. Tuttavia, occorre ricordare che cogitare in Cartesio significa essenzialmente produrre delle intuizioni, cioè delle rappresentazioni: forme tramite cui fissare indelebilmente ed in maniera estetica una modalità relazionale, cioè un'interazione dell'Io (sum) con la realtà esteriore di cui può avere solo sensazioni, cioè rappresentazioni. In questo modello filosofico diventerà estremamente problematico il ruolo e la funzione del corpo, perché se l'intuizione è una verità, l'unica verità in possesso da parte del soggetto è l'intuizione del proprio corpo, cioè l'Io sente di appartenere ad un corpo, ad una realtà materiale che è la sua vita biologica.
   Da quanto si è detto, appare evidente che in Cartesio il dubbio intuito dal divenire della realtà sensibile viene risolto tramite una gerarchia di altre intuizioni, ritenute più attendibili, perché fondate sul criterio della evidenza. Ora, lo strumento che disserta su queste contraddizioni e che può valutare l'attendibilità di un dato anziché di un altro è per il filosofo francese la ragione individuale, per cui la razionalità definita da Cartesio non è più l'antica ontologia greca, dove il carattere "razionale" è correlato con la stabilità estetica delle forme concettuali, ma è una gnoseologia fondata sulla arbitrarietà cognitiva dell'Io, cioè è il soggetto il giudice che decreta inappellabilmente il giudizio scientifico. Seguire la realtà sensibile, mutevole e contraddittoria per definizione, significa appellarsi ad un sistema di conoscenze che non ha più la possibilità di usufruire della tradizionale logica concettuale in cui le essenze sono forme statiche, immobili - tanto per parafrasare il realismo platonico - e questa stabilità è un prodotto assertivo dell'astrazione, un arbitrio di ragione e pur tuttavia, l'unica verità filosofica fondante è l'esistenza dell'Io.
   Il divorzio sancito dalla filosofia cartesiana tra la realtà sensibile (esistente) e la conoscenza scientifica (che è un sistema organizzato di intuizioni) privilegia l'arbitrio intuitivo del soggetto, che verrà messo in crisi dallo empirismo newtoniano a fine Seicento e dalla svolta materialistica, ad opera appunto del newtonianesimo e poi dalla cultura illuministica, della cultura europea, almeno fino all'epoca romantica con l'Idealismo tedesco.
   Rispetto a questo quadro concettuale Blaise Pascal oppone ciò che chiama ragioni del cuore. Il modo in cui Pascal ribalta interamente la cornice cartesiana è facilmente intuibile. Infatti, la contrapposizione del tema del cuore alla ragione riformula l'equivalente contrapposizione tra la dimensione razionale, interamente allocata nella ragione, e quella dimensione affettiva e sentimentale che è un territorio del tutto estraneo alla ragione: nel linguaggio attuale la posizione pascaliana ha chiaramente tratti irrazionalistici, tuttavia l'opposizione che viene formulata da Pascal rivela un'aporia insita nelle premesse cartesiane, cioè se l'unica verità indiscutibile è l'intuizione del sum, vien da sè che questa verità non è un prodotto di ragione, ma l'esito immediato di uno stato cosciente dell'essere, una determinazione legata in qualche modo alla funzionalità del corpo. Infatti se il sum fosse una verità sottoposta e sottoponibile alla disamina analitica della ragione dovrebbe derivare come un esito metodico del dubbio metodico, ma come viene descritto da Cartesio sembra essere una verità prima. Ciò non vuol dire che in Pascal vi sia una svalutazione dell'attività intellettuale, tutt'altro, ma significa volere rimarcare che la dissociazione in direzione dell'astrattismo confonde piani distinti della natura umana. Nei Pensieri la premessa filosofica pascaliana è la convinzione che l'esistenza umana si muova nell'intervallo di due estremi, tra miseria e grandezza, e l'attività intellettuale è sicuramente motivo della grandezza umana, tuttavia il rischio che si corre seguendo il cartesianesimo è quello di assimilare le finalità e le esigenze delle attività astratte, ciò che definisce con "spirito geometrico", alle finalità ed esigenza insite nell'esistenza stessa dell'uomo, che indica con "esprit de finesse" e che nulla hanno a che vedere con le presupposizioni teoriche delle scienze astratte. La difficoltà cartesiana della disincarnazione dell'Io è del tutto ignota in Pascal, dove non c'è l'assolutizzazione dell'Io e dove l'esperienza configura un'unità con l'intuizione.
   In riferimento al tema della scommessa, Pascal più e forse meglio di Cartesio cerca di trovare una soluzione più convincente all'antico dissidio creato dal divenire della realtà sensibile nella formulazione dei concetti e delle definizioni scientifiche, intuendo - come del resto il teologo cattolico Nicola Cusano - non solo la natura complessa (o complessità relativistica: quella stessa additata dal papa cattolico Giovanni Paolo II in occasione della riabilitazione di Galileo Galilei nel 1991), ma anche l'esigenza di iniziare ad elaborare un modello di conoscenza scientifica meno assertivo e meno assolutistico, fondato appunto su un'idea meno "realistica" della conoscenza oggettiva. A tal riguardo, proprio il concetto della probabilità, derivato dall'analisi della distribuzione delle quote e delle possibilità da parte di un giocatore di effettuare scelte vincenti nei giochi d'azzardo, introduce nella costruzione sia dell'immagine oggettiva della realtà, sia nei contenuti indiscussi del discorso scientifico l'idea "relativistica" dell'incertezza e della probabilità statistica, temi che vengono ad imporsi nella cultura scientifica europea con la fisica quantistica e la "regionalizzazione" ("periferizzazione") della teoria classica della Meccanica.