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#nucleare, #energia, #GuerraFredda
Foto
storica dell’impianto, realizzata prima degli anni Ottanta.
Questo post prende spunto
dalla visione della serie televisiva della statunitense HBO dedicata al
disastro di Chernobyl, consumatosi nell’aprile del 1986 presso la centrale ad
energia atomica Nicolaj Illiac Lenin (IV) sita nei pressi della cittadina di Pripy’at,
in Ucraina. La docu-serie ricostruisce i momenti e le decisioni che hanno
condotto alla distruzione del reattore nucleare del blocco 4 dell’impianto,
incentrando il racconto dei fatti sulle omissioni denunciate dall’audio
testamento del fisico sovietico Valerij Alekseevic Legasov, morto suicida nel
secondo anniversario del disastro (26 aprile 1988).
Sulla serie americana si sono
pronunciati in moltissimi, opinioni che non è mia intenzioni riprendere, né
amplificare, tuttavia un giudizio mi sento di affermare e cioè che sebbene il
racconto s’ispiri al documento di Legasov alla fine sembra riproporre la
versione ufficiale del governo sovietico dell’epoca, prima intento a voler
insabbiare le molte informazioni imbarazzanti, per poi abbracciare la tesi di
Legasov delle criticità e del difetto di progettazione del reattore, oltre
l’ovvio scaricamento delle responsabilità del disastro alla colpevole condotta
degli operatori e degli amministratori della centrale.
Non voglio discutere sulla
vicenda giuridica, oggetto di svariate inchieste giornalistiche, di documentari
e di ricostruzioni storiche, compresa di una diffusa letteratura sul tema e
sugli effetti catastrofici del disastro. Il mio scopo è più didattico e
soprattutto orientato ad evidenziare come il fatto di Chernobyl rappresenti e,
a mio avviso, descrive il primo vero grande evento che segna di fatto la fine
della Guerra Fredda e l’inizio della nuova era della Globalizzazione. E
soprattutto, Chernobyl segna una questione di estrema importanza e che ancora
adesso non ha trovato una soluzione soddisfacente, figurarsi una soluzione
definitiva, che è quella che riguarda la sussistenza del tradizionale sistema (o
modello) energetico basato sulla centralità dei derivati dal carbon fossile.
Al netto di tutte queste
questioni, mi limito a segnalare alcuni elementi, in parte presentati nella mini-serie
sopra menzionata, in parte rintracciabili nei servizi giornalistici dell’epoca.
Il più eclatante di questi elementi è quello fornito da uno speaker della
televisione di stato sovietica durante una cronaca girata tre giorni dopo il
disastro.
(Il brano a cui mi riferisco lo si può trovare
al minuto 2’:20”- 2’:40” nel filmato, Compilation of Rare 1986 Videos of Chernobyl Disaster (English), presente sul canale di
NewsFromUkraine)
Da quel che emerge dalla
traduzione inglese del servizio, lo speaker sovietico tende a minimizzare la
gravità del disastro, fornendo al contempo una piccola panoramica dell’ambiente
intorno alla centrale, affermando che gli effetti del disastro non inducano ad
alcun tipo di preoccupazione, perché gli effetti dell’esplosione non sono
assimilabili a quelli di un’esplosione atomica tradizionale, vale a dire quella
classica prodotta da una bomba vera e propria (con l’immensa fiammata e
relativo fungo di polvere che si solleva da terra). Insomma, dalle immagini
della televisione nulla intorno alla centrale lascia intendere che a Chernobyl
potesse essersi verificata una situazione assimilabile al rullino di immagini
relative alle esplosioni nucleari. Certo, quanto affermato dallo speaker
sovietico può considerarsi il solito tentativo di (auto)censura dinanzi ad un
episodio imbarazzante per il proprio governo nazionale, ma può essere anche il
segno più evidente di un automatismo, di una colonizzazione dell’immaginario
compiuta proprio dalla vasta campagna di disinformazione che faceva leva sulla
paura dell’atomica: Chernobyl da questo punto di vista presenta il conto di
queste ansie e paure presentando una situazione che è sì drammatica, ma lo è
ancor più perché suggerisce uno stato di cose che non è quello che è realmente
accaduto in quell’occasione.
L’esplosione nella centrale di
Chernobyl non è stata un’esplosione atomica, ma una violenta deflagrazione tradizionale.
Nulla, ma proprio nulla che possa ricondurre a quelle immagini - a cui mi
riferivo - diffuse dalla propaganda militarista durante la Guerra Fredda. Gli
effetti psicologici prodotti da questa colonizzazione si palesano in modo
spontaneo e non necessariamente indotti da una logica di repressione dell’opinione,
che in ogni caso c’è stata da parte del governo sovietico. In tal senso, il “minimizzare”
dello speaker sovietico ha un doppio senso:
- effetto positivo: interrompere il tradizionale circuito immaginifico che la propaganda militarista dei decenni precedenti ha definito ed alimentato sotto forma di varie psicosi ed ansie terroristiche;
- effetto negativo: proprio questa tentativo di censura rivela non solo l’azione di insabbiamento condotta dal governo, ma soprattutto quanto e a che livello si sia protratta la colonizzazione dell’immaginario dell’opinione pubblica, anzitutto sovietica e più in generale di quella europea.
Ciò significa che nessuno all’epoca
del disastro aveva una chiara idea di cosa volesse dire un disastro nucleare e
nel comprendere quanto stava accadendo, ovviamente ci si rifà alle nozioni
acquisite o ai luoghi comuni che si sono sedimentati nell’opinione privata e
pubblica. Solo in seguito, a distanza di alcuni anni, si è avuto una netta
percezione di cosa fosse accaduto in quel sito, ma il fatto che si fosse del
tutto impreparati a gestire una emergenza di quel tipo, non solo sul piano
scientifico, anche sul piano culturale dimostra quanto il disastro di Chernobyl
rappresenti un fondamentale momento di svolta storica sia nel rapporto con l’energia
atomica, sia nel rapporto globale con le tematiche ambientali: la
gravissima contaminazione dell’ambiente è il primo vero evento che pone innanzi
all’opinione pubblica europea e mondiale l’urgenza di una migliore e più
oculata gestione dell’ambiente.
In ogni caso, pochi nell’opinione
pubblica dell’epoca avevano gli strumenti per capire cosa stava accadendo in
quella parte dell’U.R.S.S. e l’ansia prodotta dalla disinformazione sovietica
aggravava ancor più lo stato d’animo dell’opinione pubblica, incapace a
comprendere, perché non aveva alcuno strumento per capire la evolversi della
situazione. A riguardo, proprio in seguito alla vicenda di Chernobyl la IEAA, cioè
l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, produrrà uno strumento di
valutazione degli incidenti nucleari rivolto proprio all’opinione pubblica, che
è dato dalla Scala INES, fornendo così un metro con cui misurare la reale
gravità dell’evento atomico, foss’anche un fatto non direttamente collegato
alla produzione industriale.
La svolta che il disastro di
Chernobyl imprime nelle coscienze dell’opinione pubblica è anzitutto, la presa
d’atto della necessità di decolonizzare il proprio immaginario con conoscenze e
nozioni più precise sul tema ed in fondo, la vasta eco che il disastro di
Chernobyl ebbe è il segno inequivocabile di quest’urgenza che bisognava
soddisfare.
A conclusione, di questo breve
intervento, vorrei aggiungere che dopo il disastro di Chernobyl vi è un altro
grave disastro nucleare, quello realizzatosi nel complesso industriale di
Fukushima Daichii in Giappone nel marzo del 2011. Il disastro nucleare
giapponese ha prodotto varie conseguenze gravissime, tanto che nella Scala INES
è considerato, al pari di quello di Chernobyl, catastrofico, cioè il grado
massimo che un evento nucleare può e deve raggiungere, tuttavia nel nostro
immaginario di europei il disastro nella centrale ucraina conserva un qualcosa
di iconico, perché Chernobyl a differenza di Fukushima ha realmente descritto
una svolta, un vero cambio di epoca proiettando anzitutto l’Europa, ma poi un po’
tutto il mondo verso l’era della Globalizzazione. È abbastanza sorprendente
osservare che gli eventi che hanno annunciato l’inizio di questa era siano
state il disastro nucleare a Chernobyl e la conseguente contaminazione ad opera
della nube tossica sviluppatasi dall’evaporazione dell’acqua presente nel
reattore, e poi il contagio finanziario causato dalle crisi finanziarie in Asia
ed in Russia (1989 e 1991). In entrambi i casi l’orizzonte che questi due
eventi hanno posto dinanzi all’opinione pubblica mondiale non è più quello
regionale tipico della Guerra Fredda, ma quello di un pianeta interconnesso
economicamente, commercialmente, ecologicamente. A riguardo, è più decisiva la
data del 1986, che anticipa di pochi anni ciò che nell’attuale immaginario
assegniamo alla data del giugno 1989, cioè a quel cambio di epoca che per l’Europa
la storiografia fa coincidere con l’unificazione territoriale della Germania. A
mio avviso, questo cambio va retrodatato di un paio di anni…
Porto Empedocle, 30
settembre 2019