martedì 26 giugno 2018

Studi di fisica



Definire cosa sia lo studio della fisica non è un compito semplice, perché nel corso della storia della civiltà umana ha assunto diversi significati, spesso correlati alle tecniche di analisi epistemologiche che venivano via via elaborate. Ad una prima approssimazione è lo studio degli eventi naturali, ma è appunto un'approssimazione, tra l'altro generica, perché ci si dovrebbe chiedere “quali” eventi naturali. A secondo degli oggetti d'interesse, lo studio della fisica appare uno studio dei corpi celesti e dello spazio astrale – e per molti secoli la sua storia si è intrecciata inestricabilmente con l'osservazione astronomica -, può apparire lo studio delle forme meccaniche, cioè degli esseri in moto, ma può apparire anche lo studio delle forme viventi, cioè di una vera e propria zoologia. Più semplicemente, forse più realisticamente lo studio della fisica è una descrizione analitica delle condizioni empiriche per cui osserviamo o per cui abbiamo un certo tipo di esperienze degli oggetti della realtà sensibile e dei fenomeni naturali.
In tal senso, questa definizione apparentemente generica e poco esaustiva della curiosità che l'interrogativo di prima pone, è in realtà la forma intuitiva più adeguata con la quale iniziare a spiegare cosa sia la fisica, a cosa serva, quale siano gli scopi che ci si prefigge con il suo studio, soprattutto nell'era attuale dominata dal concetto di metodo sperimentale. Lo sperimentalismo, termine con il quale indichiamo più che altro un tipo di mentalità, descrive un approccio ontologico che non è comparabile all'antica filosofia occidentale, sia nei riguardi della filosofia pensiero greca, spesso ritenuta il modello per eccellenza dell'attuale razionalismo scientifico (valutazione parzialmente vera), sia rispetto alla meccanica della teologia cattolica, in cui dominano verità predeterminate che hanno valore totalizzante ed assoluto sulla configurazione del sapere medesimo. Nel caso della scienza attuale questa definizione del sapere è il prodotto sintetico e derivato di una sedimentazione procedurale, il risultato di un continuo passaggio attraverso precisi step operativi. Un passaggio che muove dall'osservazione e dall'esperienza del fenomeno naturale fino ad arrivare alla formulazione di leggi fisiche, che ne spieghino il comportamento empirico e gli effetti: tutto questo oggi si muove attorno alle formulazioni matematiche, che sono diventate il modo più coerente attraverso cui rappresentare le diverse teorie fisiche con cui si spiegano gli eventi dell'Universo.
Tradizionalmente lo studio della fisica viene differenziato nel seguente modo:

  • Meccanica: lo studio del movimento e degli oggetti in moto.
  • Acustica: lo studio dei fenomeni sonori.
  • Termologia: lo studio dei fenomeni termici.
  • Ottica: lo studio della luce e dei vari effetti che derivano dalla propagazione della luce nello spazio.
  • Elettromagnetismo: lo studio dei fenomeni elettrici e di quelli magnetici.
  • Fisica atomica e subatomica: lo studio dell'atomo e del suo nucleo, ma anche lo studio di tutte le particelle discrete che costituiscono la struttura fondamentale della materia dell'Universo.

La divisione in questa parti – ritrovabile in Ugo Amaldi, Il mondo della fisica, 1991 Zanichelli Editore S.p.A., Bologna – ha solo un valore didattico, in quanto nella descrizione di un fenomeno naturale intercorrono contemporaneamente diversi ambiti della fisica teorica. Inoltre, il fatto che si divida l'aspetto teorico dalla pratica non significa che nelle sue appliazioni la fisica utilizzi princîpi differenti. Per quanto è possibile, nell'esporre questi miei studi proverò a tenere in considerazione questa stretta correlazione.


Sull'Eros e sulla sua «deriva» pornografica: alcune note



La dimensione erotica dell'essere ha costituito un momento importante, addirittura decisiva, nella riflessione filosofica. Essa ha rappresentato in molti la rappresentazione di una forza cosmica con la quale l'uomo arcaico si spiegava gli accadimenti naturali o la molteplicazione degli esseri viventi.
Nel corso dei millenni ha avuto diversi significati, dall'essere semplicemente la personificazione di una divinità originaria da cui derivano gli esseri viventi (cfr. Esiodo) alla definizione causale del movimento in Platone, quest'ultimo appunto considerato dal filosofo ateniese come un effetto di un'attrazione erotica tra gli esseri viventi. La prima formulazione razionale di una filosofia fondata sul desiderio, prima cioè che comparissero alcuni trattati teologici medievali in cui la vita del cosmo è intrinsecamente avvinta da un nostalgico desiderio verso il Creatore. A partire dall'epoca medievale infatti, l'antico significato di eros affievolisce la sua natura sensualistica e diviene un'astratta "contemplazione" amorosa su cui può definirsi una struttura provvidenzialistica retta dalla Misericordia: eros assume il significato di agape, la natura di un amore basato non sulla pacificazione dei sensi, ma nell'esaltazione entusiastica (simile nella dinamica al fanatismo) accesa dalla fede religiosa. Una prospettiva che dominerà la cultura europea per tutto il Medioevo e che ritroviamo nella poesia stilnovistica, nella descrizione del Paradiso in Dante Alighieri (cfr. Divina Commedia) o nella celebrazione petrarchesca, quest'ultima tra l'altro in forma autonoma dal contesto religioso ed incentrata sui temi della bellezza e della sensualità profana.
Il ritorno al paganesimo dell'epoca umanistico-rinascimentale si combina ambiguamente con il sentimento religioso, a causa del neoplatonismo imposto dall'ambiente fiorentino attraverso le visioni di Giordano Bruno e di Tommaso Campanella. L'amore torna ad avere una natura panteistica, ma che convive con un paesaggio concettuale informato interamente dalla scelta culturale della trascendenza di forze ed entità assunte in modo personale. Dell'antica visione arcaica rimane solo la suggestiva natura cosmica dell'amore, una forza che ha il potere di pervadere totalmente la natura agendo secondo una forma di razionalità "magica": una presenza che si esprime enigmaticamente. Ciò influenza la prospettiva fisica che vede la partecipazione dell'amore nella costituzione delle forze della natura. Quest'ultime s'identificheranno con il principio creatore, in ragione di una condivisione ineffabile di un'intima affinità.
Dobbiamo attendere tuttavia, l'epoca moderna per assistere ad una reazione a questa concezione. Non c'è più il generico e letterario ritorno al paganesimo del Quattrocento e Cinquecento, ma un più deciso ritorno in senso “conservatore” e tradizionalista all'aristotelismo, che paradossalmente crea i presupposti per una visione più progredita dell'amore. Si ritorna infatti, all'idea edonistica ed utilitaristica aristotelica in base alla quale lo amore è una pura ricerca del piacere, fondata sul razionalismo di una criteriologia etica utilitaristica. Solo negli ambienti ebraici ed in quelli più liberali questo razionalismo utilitaristico si evolve in una metafisica vera e propria dell'amore, in cui l'eros descrive il punto di congiunzione tra le due dimensioni opposte dell'esistenza, il finito e l'infinito. Spinoza in tal senso, riformula la tematica erotica nell'ambito di un recupero dell'etica stoica, in cui la ricerca etica è incentrata sulla virtù intesa come una razionalistica liberazione dalle passioni. Un intellettualismo etico quello spinoziano – che ritroveremo in parte nell'etica kantiana - che mira a definire i principi universali ed unitari sia della condotta individuale sia di quella sociale. Il bene comune diventerà lo scopo dell'azione etica. Tuttavia, non sfuggirà alla formulazione spinoziana il carattere seduttivo della morte.
Finora, il legame tra la dimensione erotica e la morte non era stato esplicitamente teorizzato. La fuga della etica spinoziana verso un sistema intellettualistico era motivata dall'evitare le disastrose chimere a cui l'uomo poteva giungere seguendo una passionalità eccessiva e sfrenata. Il godimento erotico inizierà a manifestare la cifra pericolosa della fatalità mortale. Un tema che la poesia illuministica rivelerà chiaramente in Giacomo Leopardi, ma soprattutto nella cultura letteraria tedesca sia in epoca romantica che in seguito, almeno fino alla opera di Thomas Mann. L'attrazione fatale della morte che scaturisce dall'amore è il controaltare all'idealistica rappresentazione della vitalità spontanea, ma ingenua della vita. La morte svela l'intima natura dell'esistenza più vicina alla dimensione della volontà, anziché della ragione. Sarà la filosofia di Arthur Schopenhauer che trarrà da questo complessivo ribaltamento dell'intellettualismo etico tutte le conseguenze drammatiche di un irriducibile ed inconsolabile pessimismo. La spiegazione schopenhaueriana definirà con Volontà non più una funzione ed espressione dell'Io soggettivo, ma la dimensione incommensurabile di un'azione che accomuna tutti gli esseri viventi nel loro vivere naturale: la tensione erotica assume il carattere di una lotta biologica tra le specie, l'atto di affermazione del proprio patrimonio genetico, il momento esclusivo con cui si garantisce la sopravvivenza della propria genia.
Quest'abbandono della prospettiva spiritualistica sancirà il momento di svolta in senso biologico dell'eros e di tutto ciò che è correlato alla dimensione erotica, compreso l'immaginario erotico. A riguardo, la filosofia di Schopenhauer rappresenta il punto di congiunzione tra la dimensione mefistotelica della cultura romantica e la nuova formulazione del rapporto eros-Thanatos in chiave nevrotica da parte della psicanalisi freudiana. Una correlazione che restituisce alla dimensione erotica dell'essere nuovamente una centralità nell riflessione dello essere umano, soprattutto dopo la svolta sociologica ed antropologica della filosofia novecentesca, ma che ha creato anche i presupposti teorici di un materialismo metafisico (cfr. Georges Bataille) su cui si è appoggiato il pessimismo inquieto del nichilismo contemporaneo, che ha sfruttato la costruzione narrativa freudiana non per descrivere ed eventualmente risolvere le paranoie collegate alla sessualità, ma ne ha fatto uno strumento di lotta ideologica alla dominazione “borghese” da parte del potere delle fantasie erotiche pubbliche o private di un cittadino o di una nazione.
In tal senso, la chiave biologica di una certa rappresentazione dell'eros contemporaneo (cfr. Pornografia) ha tutte le caratteristiche di quel contrasto ideologico e culturale suscitato dalla liberazione dei costumi e dei rapporti tra i generi che l'erotismo tradizionale non può più esibire. Tuttavia, questa carica demistificatrice insito nella dimensione erotica appare fondamentale ed emancipatrice, soprattutto dopo il Post-modernismo e la fine della tradizionale narrazione storicistica. Il ritorno ad un lessico organicistico della sessualità auspicato da alcuni come una nuova forma di materialismo con funzionalità critiche, appare limitante e con una capacità d'azione goffa ed appesantita, perché crede di ricostruire una «grammatica» erotica muovendo dai fondamenti biologici della sessualità, dimenticando che ad oggi questa autorappresentazione della propria sessualità viene realizzata dall'individuo a partire da un'ontologia che si definisce se stessa ed i propri contenuti, compresi i “bisogni” erotici individuali (cfr. Le forme trasgressive di sessualità: masochismo, sadismo, bondage et similia), proprio sulla modalità narrativa di formazione dell'immaginario medesimo. Una dimensione narrativa che lo attuale realtà della pornografia mondiale ha ampiamente assimilato, più e meglio del cinema erotico, pur se in una gestione mercificata dell'eros: se non c'è un'intenzionalità della pornografia ad evitare la mercificazione del prodotto erotico, una pretesa opinabile perché in altri ambiti la mercificazione è un fenomeno che si può ormai considerare trasversale e diffuso, tuttavia a differenza della più “addomesticata” rappresentazione del cinema erotico la pornografia riesce a dissacrare proprio quei simulacri prodotti dall'immaginario erotico, pur sfruttandone spudoratamente e spesso ingenuamente i feticci autorappresentativi del desiderio.
Angelo Romeo (Agrigento, 21 aprile 1976)
(Porto Empedocle, 20 giugno 2018)



Qualche parola sul cinema che mi è piaciuto



Scrivere una critica cinematografica è impegnativo, soprattutto per chi come me non lo fa di mestiere e si limita ad essere un semplice spettatore più o meno informato. Tuttavia, nel tempo i film che ho assistito, non molti, ma per quanto pochi credo qualitativamente rilevanti, hanno contribuito in parte o in toto a definire il mio paesaggio concettuale, a formare il mio spirito individuale, la mia sensibilità su alcuni temi e la più assoluta indifferenza.
Fare una retrospettiva completa di quel che ho visto nell'arco di questi anni mi è praticamente impossibile, anche perché dovrei andare ritrovare alcuni di questi film e ad oggi non sono più in grado di stabilire quali siano stati e sinceramente la lista che prevedo di comporre è più che altro una mappa concettuale, che vuole trovare spunto dalla visione del film citato o considerato. In una certa maniera, vorrei riprodurre una lista che per finalità e per il tipo di argomentazione che presenta ricorda le classiche rassegne cinematografiche da oratorio o da festival estivi. Per cui le ambizioni di questa serie di scritti sono di basso profilo. Scritti che non hanno la presunzione di aggiungere chissà quali nuove chiavi interpretative, ma solo quello di aggiungere il mio giudizio o la mia personale valutazione al film in questione. Insomma, una specie di esercizio di critica, nulla più.
L'ordine è molto casuale e spesso determinato dall'occasionalità e dall'estemporaneità dello scritto.



La letteratura che piace a me



Le mie letture preferite durante gli anni del liceo erano su tutte i classici della nostra letteratura nazionale e i racconti dell'orrore, quella letteratura che genericamente è stata definita «gothic stories». Ora, nonostante la incipiente senilità, oltre che un rassegnante rimbecillimento – naturale per chi ha ormai prestazioni da “usato a prezzi stracciati” - ed un affievolirsi di un'antica passione, sempre in bilico con il sopraggiungerne di altre più pressanti, tuttosommato non ho perso l'interesse che coltivavo un tempo, anche se adesso mi approccio alla lettura di un'opera solo se mi piace e soprattutto se la «capisco». Il tempo delle letture obbligate di quelle che si facevano per lo più per rendere conto a qualcuno (professori in primis), quelle della formazione di un sapere professionistico o quelle dei cenacoli letterari è ormai tramontato, anche perché le compio solo per il gusto di farle, per il piacere di specchiarmi su questo bagaglio di informazioni meno stolto di quanto potessi esserlo qualche attimo prima, per cui tanto in tanto mi accade di riscoprirne molte di queste “letture”. Una riscoperta che è anche la mia excusatio, ma con la quale colmo le eventuali lacune giovanili che nel tempo si sono formate, preso come ero nel rintracciare nelle “disordinate” letture un filo comune, un tema che si stagliasse in modo assoluto, come verità rivelata e guida dello spirito umano.
Oggi, non ho guide spirituali, né ne cerco (anche se di tanto in tanto ammetto un indicibile bisogno) e ciò che leggo e ciò che scrivo ha la natura dello sperimentatore, dell'esploratore anziché del ricercatore, di un uomo senza scopi particolari tranne quelli ovviamente intrinseci all'esistenza stessa e che si avventura laddove un tempo sognava o sperava di avventurarsi, ma che per una ragione o per un'altra ha procrastinato il viaggio e l'avventura medesima. A ripensarmi, alcuni ricordi mi riportano ad un ometto apparentemente vitale, ma soprattutto voglioso – a tratti anche svogliato - di conoscere – ergo leggere – storie, interventi ed opinioni non necessariamente allineate al pensiero diffuso, da cui sono state prodotte varie – ma non moltissime alla fine – bizzarie, rubricabili forse come un'indisciplinata – lo ero abbastanza, come lo sono adesso tuttavia - vivacità intellettuale.
Ecco qualche scheda o commento di ciò che mi è piaciuto in passato o che mi piace adesso.

Ps.: la lista non è né completa, né esaustiva, né già formulata, ma è un working in progress in linea con la ricerca/riscoperta a cui alludevo, per cui si consideri tutto ciò uno “spazio”, un segmento più o meno esteso in cui concentrare una tipologia di contenuti, quelli che ritengo validi e degni di farsi conoscere.


  • Poesia
  1. X Agosto di Giovanni Pascoli

  • Prosa

martedì 5 giugno 2018

Su Complessità e Possibilità (prolegomeni)



L'immagine iconica dell'intero XX secolo nell'ambito scientifico è certamente l'«atomo planetario» di Rutherford-Bohr, tuttavia per quanto potentemente impressa nel nostro immaginario culturale la scoperta della costituzione particellare della materia è ben poca cosa allo sconvolgimento che il tema della «complessità» ha prodotto nei nostri sistemi filosofici. La conferma della natura corpuscolare della materia e con essa dell'intera realtà sensibile non è così “terremotante” quanto invece la fine del determinismo metafisico-teologico. Un vero colpo al pensiero tradizionale della stessa scienza, che in un atto di presunzione illuministica ha creduto fermamente di poter avere e produrre un controllo (“magia”) sulla natura sol perché avendone scoperto le leggi poteva formulare paradigmi che ne prevedessero il comportamento, risolvendo l'oscurità e l'ignoto solo in una banale “ignoranza” e stoltezza.
Insomma, fino a quando la tecnica rivelava il suo potere coercitivo e definitorio su una dimensione della realtà e fino a quando la misurazione dei fenomeni naturali era possibile – proprio nel gergo empiristico della Rivoluzione scientifica impostasi con il newtonianesimo di comprovazione e raffronto –, allora la crisi intellettuale e culturale della filosofia tradizionale (metafisica) verso la fine del XIX secolo era paragonabile ad un semplice “raffreddore”, all'incuranza di un indolente malato che si mostrava riottoso ad assumere lo sciroppo o la pillola prescritta. Ecco, la scoperta dell'esistenza dell'atomo non era la rivoluzione preconizzata fin dal Seicento nelle cerchie delle menti più vivide dell'Europa, ma il placebo con il quale “drogare” i sintomi di una malattia ritenuta tuttosommato lieve. Per molto tempo non ci si accorse di questo significato e si pensò – meglio si credette! - che la svolta della nostra attuale fase di civiltà fosse determinata da questo gruppetto di particelle che si muovevano al pari dei pianeti del cielo astrale e su queste premesse si era convinti di una sorta di «continuità» concettuale tra i nuovi fenomeni della fisica sperimentale ed i sistemi classici della civiltà umana, europea in particolare. Tutto questo fino alla comparsa di un altro significato di «possibilità».
La categoria del possibile è quella meno ricordata, perché la stessa manualistica storiografica insiste su quella che fin dall'epoca antica è stata considerata la categoria più fondamentale di tutte, quella dell'essere, per cui tutto il sistema di conoscenze e di esperienze codificate ruotava e si fondava su di essa. Così almeno fino al Settecento, quando con la filosofia kantiana la filosofia metafisica inizia ad elaborare un sistema di sapere che tenga conto degli sviluppi possibili dell'essere ricollocato nuovamente dentro il piano dei fenomeni. Tuttavia, il kantismo non potè emanciparsi totalmente dal determinismo, anzi a partire della Critica della ragion pura la filosofia inizia a dare a questo determinismo un nuovo e più stringente significato – soprattutto tramite la narrazione unificante della memoria -, tanto che il poter-essere di una realtà viene a correlarsi con il suo individualismo logico, per cui l'antico assolutismo parmenideo si ritrova recuperato dal rinverdire del sillogismo aristotelico creando le premesse per le quali ciò che ha un'esistenza ed un'identità logica è una realtà che appartiene alla possibilità. Viceversa, ciò che è escluso da questa collocazione è ricacciato nella dimensione dell'impossibile e quindi del nulla assoluto. Un esito che si scontrerà con i paradossi di una logica sillogistica, ma che rivela inequivocabilmente il genuflettersi delle sue procedure agli automatismi equivoci e a volte perversi della dialettica (cfr. Lewis Carroll).
L'altro significato del possibile verrà a definirsi non senza fatica al di fuori dal contesto della filosofia tradizionale e laddove campeggiava un pregiudizio disciplinare, in parte giustificato, in parte immotivato. Questo significato si delinea nei termini di «probabilità» e riscontrabile attraverso tecniche statistiche e valutazioni comparative. Un modo di procedere epistemologico già frequentato dal pensiero europeo, basti considerare il sistema aristotelico della proporzione logica, tuttavia ciò che è nuovo non è solo la strumentazione – ovviamente -, ma soprattutto la sua stessa estensione al piano ontologico della realtà, dalla quale fino a questo momento era stata inibita. L'essere parmenideo si snatura ed inizia a guardarsi non più come un cerchio immutabile, ma una forma mutevole, cioè non più la figura rigida euclidea, come rivelerà i nascenti studi topologici e perciò stesso “relativa”, “probabile” sia sul piano metodologico, sia sul piano ontologico. Un fatto assolutamente sconvolgente, tanto da non essere stato ancora pienamente assimilato da una parte della nostra cultura europea – cattolica in particolare .
Il complicarsi della nostra prospettiva e della visione dei fondamenti della realtà è il tratto decisivo del più recente discorso scientifico – un tema che era già comparso nella filosofia medievale con Nicola Cusano -, tuttavia permane per secoli che questa complessità non fosse altro che l'estrinsecazione multiforme e varia di una realtà che è in sé profondamente unitaria, che persista l'antica concezione greca dell'armonia universale e quindi che gli stessi eventi accadono secondo un equilibrio ed un ordine determinabili e fissabili immutabilmente. È l'assiomatica della fisica classica, che costruisce l'immagine del mondo e dell'Universo ancora attraverso il supporto della metafisica e della sua meccanica causale. In tal senso, l'inconciliabilità che i filosofi metafisici (neokantiani) rivelano con le nuove formulazioni scientifiche indica perfettamente come sul piano teorico il paesaggio concettuale è mutato e con esso anche l'idea che la varietà degli eventi non è dipesa dal mutamento del principio unico, ma sia effetto di una pluralità principiale (politeismo), oppure – ancor meglio - la “deformazione” prospettica degli stessi sistemi di misurazione e di controllo. È l'idea che si imporrà con la Teoria della relatività di Albert Einstein e ciò si traduce sul piano culturale nell'affermazione che complicazione equivale complessità e quindi intrinseca indeterminatezza dei fondamenti reali. Aberrante, dal punto di vista del pensiero che per secoli si è autorappresentato limitato e in costante contrapposizione con la realtà assoluta del divino, l'unica a cui poteva demandarsi tutte quelle qualità e capacità “negative” che trasgrediscono il potere assertivo, specificante e deterministico della mente umana.
La nuova immagine della materia è sconvolgente, perché la possibilità non è più una categoria finalistica – nella metafisica del Dasein di Martin Heidegger finirà per assumere i caratteri di un progetto precario certo, ma con cui l'esistenza incerta del Dasein ha ancora modo di ragionare sulla vita in termini finalistici, lasciando manifestare nella vita dell'uomo l'antico tema del Destino -, ma il territorio in cui prevale l'incertezza, l'indeterminatezza e la assenza di scopo. La misura dunque, dell'aristotelica “potenzialità” degli enti – nella Metafisica già estromessa dalla rappresentazione causalistica del razionalismo metafisico – non può che prodursi in uno scenario fatto di ipotesi e di congetture, con il rischio permanente dell'errore e dell'ingannevolezza creata appunto dai nostri stessi sistemi di conoscenza – l'illusione cartesiana tramonterà definitivamente, così come lo stratagemma storicistico empirista sull'esistenza di “criteri” di garanzia come Dio o la Storia -, uno scenario cioè in cui la valutazione e l'eventuale giudizio che possono prodursi è soltanto di tipo statistico.